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"A N I M A M U N D I ", a cura di Laura Catini

MOSTRA SITE SPECIFIC - SPAZIO HANGAR, Roma, 2024

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Testo introduttivo all'artista 

di Giulia Coccia  

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Da sempre interessata all’evoluzione del segno nelle sue molteplici forme, Diana Pintaldi ha portato la traccia umana ad abbracciare realtà possibili o immaginabili che trascendono la sua essenza corporea. 

Tutto inizia ovviamente dal gesto, dall’energia che viene canalizzata in una direzione mai casuale.

Nei primi lavori di Diana la tensione tra essere e divenire è costante e assume le modalità espressive di un vortice, che nasce e confluisce in sé stesso. Lo sforzo di sintesi pervade la sua ricerca in cui la figura umana o altri oggetti sono colti nella stasi o nel movimento, fino a diventare una aggregazione di segni indefiniti. Il passaggio dalla figurazione all’astrazione è sottile, ma controllato. Assume l’aspetto di un filo che attraversa e permea la materia, prima in senso figurato poi letterale quando l’artista comincia a cucire il supporto: tela, tessuto, metallo, scarti trovati per caso che accolgono una nuova funzione, anch’essa in divenire.

La linea è una sequenza di atti che ripetuti nel tempo rappresentano un vissuto. E cosa è il vissuto se non un racconto? Il linguaggio diventa così parte integrante dell’opera stessa, e nella forma di alfabeto morse. I punti che si susseguono astraggono dalla loro modalità puramente semantica e diventano elementi autonomi, in viaggio nello spazio. Quale sia la loro direzione è irrilevante, privi del loro bagaglio di senso assoluto sembrano investiti di una missione esistenziale: ricordarci il qui ed ora che è sempre e comunque un altrove. 

n questa prospettiva lo spettatore è invitato ad entrare nell’opera Essere nel Tempo e nello Spazio Infinito, un’installazione che rappresenta anche il compendio del percorso intrapreso dall’artista fino ad oggi. La trama cucita richiama di nuovo il processo di sequenzialità ma il colore nero e la mancanza di coordinate spazio-temporali sospendono la percezione dello spettatore e la sua capacità di ancorarsi ad una realtà definita. La traiettoria che l’occhio compie per raccogliere e decifrare i segni che individua, definisce l’energia vitale dell’opera stessa. La visione ascende e discende lungo un filo invisibile che riempie l’intera stanza, ed è accompagnata da un sottofondo sonoro: la registrazione ambientale dello studio in cui trascorre le ore l’artista. Le onde si propagano, permeando lo spazio con la traccia indelebile di un vissuto. Là dove la luce proiettata dalle candele ci richiama alla terra, prevale la tentazione di esplorare i mondi dello spazio sconfinato che si dipana davanti a noi. E’ in questa lacuna gravitazionale che ritroviamo il nostro centro, piccolo anche quanto un semplice puntino bianco, ma grande abbastanza da confluirvi insieme il passato il presente ed il futuro.

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